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Dating : Oro.

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Danila Giancipoli

Ed è quasi aprile, giusto.

Non so voi, ma ho questa sensazione, amara sul palato, come mi avessero rubato l’inverno.

Non ho sentito freddo abbastanza, non ho corso abbastanza, non ho mai corso sotto la pioggia e qui, da queste parti, ahimè neve non ce n’è.

Prima di chiudere gli occhi, verso le tre, mi sono ricordata che una volta non ho messo le scarpe giuste per la neve. L’avevo dimenticato, o il termine giusto sarebbe rimosso. Ho dimenticato quella sensazione di inizio, di stupore e di illusione che ho provato nel punto più alto di Torino, una sera di gennaio, con una sigaretta mai accesa perchè nessuno dei due aveva un accendino.

Mi sono ricordata di un abbraccio, uno degli abbracci più belli, in una giacca di camoscio che ricordo enorme, capace di ingigantire due spalle larghe che, anche se non l’ho mai detto ad alta voce, ho amato con tutta me stessa.

No, non l’ho detto nemmeno a lui.

Sapete le parole a volte non servono a niente, non serve parlare, scrivere, o urlare, se dall’altra parte non c’è nessuno ad ascoltare.

Mi ricordo distintamente “Scendi, ti porto in un posto, è una sorpresa”.

Mi ricordo distintamente di aver tremato di paura, ma anche forse di gioia.

Mi ricordo di aver guardato le curve pian piano ricoperte di neve fuori dal finestrino. Di aver pensato “Posso fidarmi? Dove stiamo andando?”.

Mi ricordo di averlo visto pulire bene gli occhiali, prima di scendere.

Mi ricordo di aver parlato di Terzani, con lui, con tenerezza.

E poi Torino, forse, Torino forse da quel punto, in quell’esatto istante, mi è sembrato il posto perfetto. Il posto incantato. E no, non avevo le scarpe adatte. Ma sapete, che ne potevo sapere io degli inverni torinesi? Era solo l’inizio del 2018. E davvero, non sapevo niente di niente.

Ho pensato a quell’abbraccio, senza sforzo, senza volerlo, forse perchè ora più che mai mi sembra oro nei ricordi. Oro per la mia pelle nostalgica, oro in confronto a tutto quello che è successo.

E altrettanto oro pagherei per averne un altro, il doppio di quell’oro pagherei per tornare lì di nuovo, il triplo di quell’oro pagherei per sentire quell’odore ancora. Quell’odore dentro le narici, di un amore senza nome, di tabacco da bruciare e corteccia umida. Odore di città, di vita nuova. E come è passato il tempo allora, Dio, fa che passi anche adesso. Perchè alla fine, noi scrittori, amiamo rifare gli stessi errori esattamente con la stessa foga con cui riscriviamo righe.

E speriamo sempre di riuscire a cavarne una giusta. Ci mettiamo l’anima, alle volte. Diamo i nomi alle cose in ritardo e ci lasciamo passare ricordi davanti gli occhi, come la pellicola di un film che gracchia proiettando cose belle sul muro.

Ho grandi speranze, per il prossimo inverno. Chissà se c’è speranza di potersi innamorare, il prossimo inverno. Di abbracciare, il prossimo inverno.

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